Approfondimento
Secondo uno studio condotto in Italia da Assochange nel 2023, soltanto il 30% dei progetti di cambiamento intrapresi dalle aziende intervistate negli ultimi anni aveva restituito i risultati desiderati. Il dato relativo all’insuccesso dei processi di cambiamento nelle aziende non stupisce. Più di vent’anni fa IBM condusse una ricerca analoga giungendo a risultati non molto diversi da questi. Il principale motivo di insuccesso individuato da IBM, all’epoca della ricerca, venne individuato nella difficoltà di modificare il quadro mentale e le attitudini, responsabile dei fallimenti secondo il 58% dei manager intervistati.
Assochange, vent’anni dopo, giunge alla stessa conclusione: il problema principale sembra essere il coinvolgimento delle persone ; il disaffezionamento verso l’organizzazione porta a una mancanza di interesse nei nuovi progetti di trasformazione.
Nonostante queste evidenze, la maggior parte delle aziende sembra essere più attenta alla validità della strategia oggetto del cambiamento piuttosto che al modo in cui la strategia stessa possa essere accettata dall’intera organizzazione.
I fatti dimostrano, invece, come la maggior parte degli insuccessi non dipenda dalla strategia scelta, ma dal rifiuto di applicarla da parte delle persone coinvolte nel processo di cambiamento.
A tutto ciò si aggiunge ciò che Daniel Kahneman chiama “l’avversione alla perdita”, ovvero la tendenza che l’essere umano ha di attribuire alla perdita di una determinata risorsa un peso maggiore rispetto all’ottenimento della risorsa stessa, nella misura del doppio. In sostanza dobbiamo vincere almeno 200€ per colmare il dolore provato dalla perdita di 100€. Questo giustifica ulteriormente l’avversione al cambiamento: l’opportunità offerta dal cambiamento dovrebbe essere almeno doppia rispetto a quanto lasciamo andare, per giustificare l’accettazione. Ma l’eventuale vantaggio di un cambiamento è incerto, mentre ciò che lasciamo è certo. Tutto sembrerebbe giustificare l’immobilismo.
Quindi? Ci arrendiamo? Certo che no. Dobbiamo però imparare a gestire le resistenze al cambiamento dando a questo aspetto la giusta importanza. Dobbiamo anche comprendere che le resistenze al cambiamento sono una reazione naturale e spontanea, e quindi le persone che resistono sono “normali” e devono essere trattate come tali. Ecco di seguito alcuni spunti che ci possono aiutare.
Ricordiamo che l’evitabilità o meno del cambiamento, e gli effetti dello stesso sulle persone, sono “soggettivi”. Un processo di cambiamento potrebbe essere per noi assolutamente inevitabile ed avere degli effetti molto positivi, mentre un altro soggetto in una posizione diversa dalla nostra o con un’esperienza personale diversa dalla nostra, potrebbe averne una percezione completamente diversa.
Il processo di comunicazione del cambiamento dovrà quindi tenere conto di questi aspetti. Una guida interessante ed efficace ci viene proposta da un modello di change management sviluppato negli anni 90: il modello di Knoster.
Vision
Spieghiamo ai nostri collaboratori perché è necessario cambiare. Non limitiamoci ad indicare la strada, ma spieghiamo perché quella è la migliore strada da percorrere. Utilizziamo dati esterni, fonti autorevoli, ricerche di mercato, studi sulla concorrenza. Le persone coinvolte devono percepire che il cambiamento è inevitabile.
Skills
Di quali competenze avranno bisogno i nostri collaboratori per affrontare il cambiamento? Che cosa, tra ciò che sanno fare molto bene oggi, non ci sarà più bisogno? Comunichiamo apertamente queste esigenze e offriamo a tutti un programma di formazione chiaro e certo che li rassicuri sul loro futuro. Uno dei principali motivi di resistenza è rappresentato dal senso di inadeguatezza di fronte ad una nuova sfida. Sapere che l’azienda lo sa, e che ha predisposto un piano, è di per sé rassicurante.
Resourses
Individuiamo subito quali sono le risorse di cui la nostra organizzazione avrà bisogno per affrontare la nuova sfida. Ci serve un nuovo sistema informatico? Dovremo assumere nuove professionalità? Anche in questo caso comunichiamo apertamente con i nostri collaboratori condividendo con loro il programma di adeguamento delle risorse, offrendo anche un orizzonte temporale (cosa faremo, ed entro quando).
Incentives: ogni essere umano ha bisogno di incentivi per muoversi. Perché dovrei fare quello che mi viene chiesto? Perché non posso starmene tranquillo dov’ero? Incentivi non significa solo denaro: crescere dal punto di vista professionale, imparare cose nuove, fare esperienze stimolanti, vedere la propria organizzazione rafforzarsi, sentirsi adeguato con i tempi che cambiano e così via. Sono molti i motivi che possono spingere una persona ad abbracciare un nuovo progetto. Spetta al responsabile delle persone individuare quali possono essere queste leve, e farlo per ognuno dei propri collaboratori. E spetta sempre a lui trovare il modo di comunicare con ognuno dei propri collaboratori, tenendo conto delle diverse personalità, per metterli nella condizione di percepire il vantaggio del cambiamento.
Action Plan
Offriamo ai nostri collaboratori un piano di azione dettagliato nei contenuti e nei tempi. Costruiamolo in modo da poterlo anche modificare. Probabilmente non saremo in grado di prevedere completamente tutti gli effetti del cambiamento. Impariamo a comprenderli e a utilizzarli per modificare il piano di azione in modo da renderlo sempre attuale. Comunichiamo i cambiamenti e argomentiamoli. Facciamo in modo che tutti si sentano sempre informati e coinvolti nel progetto.
Come possiamo vedere dallo schema qui sotto, che rappresenta proprio il modello di Knoster, solo quando prestiamo attenzione a ciascuna di queste aree otteniamo il cambiamento.
Quando invece trascuriamo una o più di queste aree (quelle in grigio scuro), otteniamo qualcosa di completamente diverso.